Esg, banche e il rischio diretto e indiretto

I criteri e le strategie relativi a questioni ambientali, sociali e di governance, riassunti nella sigla Esg (sinonimo di sostenibilità), sono sempre più importanti nel settore di risparmio, credito e finanza.
Non è più soltanto una questione etica. La sostenibilità è diventata un cardine per lo sviluppo economico. In particolare, per le banche. Gli istituti di credito fanno quotidianamente i conti con questo importante asset economico e con il rischio che ne consegue, sia esso diretto o indiretto. Una distinzione che chiariremo in seguito.
Intanto, resta il fatto che il rischio Esg rientra ormai nella cornice del risk management bancario. Lo è a causa della crescita di prodotti sostenibili da parte degli investitori, lo è per il pressing degli organismi di regolamentazione europei e delle agenzie di rating internazionali che stanno spingendo le banche a valutare, gestire e misurare con sempre più frequenza e precisione i rischi legati a investimenti, innovazione e ricerca che accrescano la sostenibilità. Da qui, l’introduzione di nuove normative, di nuovi requisiti nei processi di reporting e di nuove sfide per la compliance per gli istituti di credito. Ma prima di stringere il focus su banche e Esg, un breve excursus generale.
Che cosa sono le Esg
Esg è l’acronimo di Environmental (ambiente), Social (società) e Governance, cioè i 3 pilastri della sostenibilità per l’Unione europea: i tre fattori fondamentali per verificare, misurare e sostenere l’impegno in termini di sostenibilità di un’impresa o di un’organizzazione, banche e società finanziarie comprese.
Le Esg sono nate nel 2004. Il suo inventore è stato James Gifford, head of sustainable&impact advisory di Credit Suisse. Ha raccontato in più occasioni la loro genesi: “Il termine è stato coniato quando ero all’Unep Fi, il programma Onu per le iniziative finanziarie per l’ambiente, a Ginevra. Ci siamo resi conto che stava emergendo una consapevolezza diffusa dell’importanza della sostenibilità”.
Dalla Conferenza di Parigi all’Agenda 2030 dell’Onu
Nei successivi undici anni, il dibattito sulla sostenibilità è andato crescendo ed è culminato nell’accordo di Parigi. Si tratta di un trattato internazionale stipulato fra Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), riguardo alla riduzione delle emissioni di gas serra e alla finanza, raggiunto il 12 dicembre 2015.
Quasi tre anni dopo, nel novembre 2018, 195 membri dell’Unfccc hanno firmato l’accordo e 183 hanno deciso di farne parte. I suoi obiettivi? In generale, l’accordo di Parigi mira a contrastare i cambiamenti climatici e a eliminare la povertà. Per raggiungere queste due mete, la strada da seguire passa dal limitare l’aumento della temperatura media mondiale a 1,5°C per ridurre i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici e rendere i flussi finanziari coerenti con politiche di salvaguardia ambientale.
Inoltre sempre nel 2015 è stata lanciata l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) che ha avuto il merito di orientare l’economia globale verso obiettivi ecologici e sociali.
Criteri, obiettivi e strategie Esg
Se quelli sopra elencati sono i crocevia fondamentali per la sostenibilità a livello globale, i criteri Esg sono ormai al centro del discorso pubblico e rappresentano una bussola che orienterà le scelte di sviluppo mondiale e comporteranno, nel breve, l’impegno di ogni singola impresa verso uno sviluppo sostenibile.
Le aziende (banche e società finanziarie incluse) scelgono di aderire a standard internazionali, garantendo il rispetto di alcune misure e fissando obiettivi da perseguire nel medio e lungo periodo.
Per raggiungere tali obiettivi, le imprese mettono in atto una serie di strategie integrate sulle Esg che riguardano vari asset aziendali. Ecco perché i criteri Esg sono diventati così importanti: permettono di misurare in modo preciso e sulla base di parametri standardizzati e condivisi le performance ambientali, sociali e di governance di un’azienda.
In sintesi, investire in attività Esg vuol dire indirizzare capitali verso imprese che rispettano l’ambiente, favoriscono la presenza di donne negli organi di amministrazione, sono attente all’inclusione e al benessere dei lavoratori.
Esg e prodotti finanziari
Le Esg hanno anche una loro applicazione diretta nel segmento dei prodotti finanziari, i quali possono essere classificati come “responsabili”, dato che favoriscono la coesione sociale attraverso il finanziamento di progetti e di imprese che generano un plusvalore per l’umanità, la cultura e/o l’ambiente.
In base ai criteri di rischio, di liquidità e di rendimento del risparmiatore, quest’ultimo può scegliere di investire il proprio denaro in conti di risparmio, conti a termine, in Sicav oppure in fondi comuni di investimento, in fondi pensioni, in polizze assicurazioni-vita o in azioni e quote sociali di organizzazioni solidali. E ancora: fondi chiusi di private equity, fondi immobiliari, gestioni patrimoniali, Etf, prodotti strutturati, prestiti obbligazionari e i certificati di deposito
Le Esg riguardano numerosi operatori finanziari: banche commerciali e d’investimento, società di gestione del risparmio, broker e società di consulenza finanziaria, compagnie di assicurazione, agenzie di rating sociale e fornitori di indici.
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Esg, vigilanza bancaria e finanziaria
L’integrazione dei fattori di sostenibilità (Esg) nei processi aziendali e di supervisione di banche e società finanziarie è tra le priorità strategiche per i prossimi anni. Per questo motivo, la Banca d’Italia è impegnata ad accrescere la consapevolezza a riguardo di sfide e opportunità che possono derivare dai fattori Esg per i rispettivi modelli di business, e sviluppare adeguati percorsi di valutazione di vigilanza.
Da Bankitalia ricordano che “il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria sta approfondendo se e in che misura l’attuale quadro regolamentare sia idoneo a cogliere adeguatamente i rischi finanziari legati al cambiamento climatico”. Spiegano che “il Comitato sta vagliando possibili miglioramenti alla disciplina di Primo, di Secondo e Terzo Pilastro; tra le misure già adottate rientra la pubblicazione per la consultazione nel novembre 2021 di specifiche linee guida rivolte a banche e supervisori su una gestione efficace dei rischi climatici”.
Va inoltre osservato che l’Eba (l’Autorità bancaria europea) sta preparando standard di informativa al pubblico e linee guida per gestire i rischi Esg. Così come la Commissione europea ha proposto una revisione della disciplina sulle banche e sulle imprese di investimento (Crr3-Crd6) che marcia nella direzione di rafforzare l’informativa al mercato (Terzo Pilastro) e i presidi che gli intermediari devono attuare per assicurare una gestione consapevole dei rischi (Secondo Pilastro).
A proposito del Meccanismo Unico di Vigilanza, la Banca d’Italia contribuisce alla valutazione dei piani di adeguamento delle banche alle aspettative della Bce sui rischi climatici e ambientali e allo svolgimento di uno stress test climatico.
Inoltre la Banca d’Italia ha messo a punto un primo blocco di “aspettative di vigilanza” in merito all’integrazione dei rischi climatici e ambientali nelle strategie aziendali, nei sistemi di governo e controllo, nel risk management framework e nella disclosure degli intermediari bancari e finanziari vigilati.
È proprio in quest’ultimo ambito che il nostro modulo Pillar 3 della suite TigreArm è stato integrato, consentendo la generazione in maniera automatizzata delle tavole di informativa al pubblico relative al tema Esg.
Rischio diretto e indiretto per le banche
È vero che per le banche, come per le istituzioni finanziarie, il risk management è una priorità. È altrettanto vero però che per le Esg, la gestione del rischio va considerata da un’altra prospettiva.
Anzitutto sotto il profilo del cosiddetto “rischio diretto”, con il rischio ambientale, sociale e di governance che può avere conseguenze direttamente sul conto economico della banca stessa. Per esempio, qualora una calamità naturale colpisse direttamente un edificio della banca o una sua filiale.
Poi c’è quello che è definito il “rischio indiretto”: riguarda i suoi clienti e stakeholder. Per esempio, un’azienda che avesse una sospensione della sua attività per un danno ambientale, con tutte le conseguenze economiche e finanziarie che ciò comporterebbe.
Entrambi questi pericoli non possono essere sottovalutati. Sul primo, ovviamente, la banca può esercitare un controllo diretto, con una misurazione del rischio e della sua gestione che dipendono direttamente dalla sua attività e dalle capacità del management, passando alla formulazione di strategie e all’elaborazione di programmi di business e di investimento finanziario che possano salvaguardare i criteri Esg sia sul versante ambientale, sia su quello sociale che di governance, tutelando i propri stakeholder.
Nel secondo caso, la posizione della banca è più complessa. Una finanza sostenibile per conto della clientela, un’attività di credito verso la clientela, richiedono capacità di risk management e stress test anche in campo Esg che rappresentano pure per gli istituti di credito un nuovo campo d’azione.
Sia nel caso di rischi diretti che indiretti occorre poi tenere sempre in considerazione due sottoinsiemi: quello dei rischi acuti e dei rischi cronici. Così come dei rischi di natura finanziaria e di quelli di natura extra finanziaria. Una mappa del rischio complessa che può avere ricadute sulle attività economiche dirette della banca o indirettamente sui suoi clienti, generando una crisi reputazionale.
La nuova direttiva europea Csrd
Per rispondere alla necessità di dotare le imprese di standard omogenei per la rendicontazione Esg, la Commissione europea si è mossa per tempo affidando all’ente tecnico Efrag (European Financial Reporting Advisory) il compito di stabilire i principi per rendicontare la sostenibilità che saranno pronti entro il 30 giugno 2023.
Nel frattempo, lungo questo sentiero, a novembre 2022, il Parlamento europeo ha approvato le nuove regole sul reporting di sostenibilità (Corporate sustainability reporting directive o Csrd) che estendono i contenuti informativi di natura non finanziaria.
Il testo della direttiva è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 16 dicembre. Tale normativa dovrà essere recepita entro il 6 luglio 2024 e prevede obblighi differenziati a seconda degli esercizi finanziari e della dimensione delle imprese (i tempi di attuazione sono compresi tra il 2024 e il 2028). Nel complesso dovrebbe interessare 50 mila aziende europee, tre volte in più rispetto alle 11.700 imprese attuali.
Di che cosa di tratta? Con questa normativa, l’Unione europea estende l’obbligo di rendicontazione a molte più imprese rispetto a quelle attuali con tre scopi: primo, di accrescere la trasparenza in materia ambientale, sociale e di governance; secondo, di contrastare il “greenwashing” e, terzo, di rafforzare la sostenibilità in campo economico dell’Europa.
Per raggiungere questi tre obiettivi, la nuova direttiva dell’Ue amplia il cerchio della rendicontazione, inserendo il principio di doppia materialità (double materiality) al fine di misurare e presentare l’impatto dell’attività di un’azienda (per esempio, una banca) sull’ambiente e la società, così come gli effetti dei fattori di sostenibilità (Esg) sulla situazione economica e finanziaria dell’impresa stessa.
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