ESG: ai vertici delle banche scarseggia la diversity uomini-donne

Il rapporto annuale pubblicato dall’EBA, l’Autorità bancaria europea, ha analizzato le pratiche di genere nelle banche e i divari retributivi a livello manageriale tra uomini e donne. Che cosa ne è emerso? Questo report dell’EBA ha mostrato che nel sistema bancario europeo la rappresentanza delle donne sta crescendo rispetto al passato, ma “restano squilibri” ancora da colmare.
Parità di genere e la “S” delle ESG
Il report dell’EBA si inserisce all’interno dell’ampia tematica sulla parità di genere tra uomini e donne. Una questione che è diventata una sfida chiave della “S” di social nelle ESG. Al punto che la crescente attenzione alla parità di genere va di pari passo con l’aumento della presenza di donne ai vertici delle aziende (banche comprese), una presenza che desta sempre maggiore interesse tra gli investitori e gli stakeholder.
Secondo un recente studio di McKinsey, la multinazionale di consulenza strategica, le aziende impegnate nella diversificazione di genere ottengono performance finanziarie migliori. Inoltre le imprese più diversificate sono in grado di attirare i talenti più brillanti e migliorare tanto il livello di soddisfazione dei dipendenti quanto il processo decisionale.
È vero che l’introduzione di indici e quote rosa favorisce il collocamento delle donne all’interno dell’azienda, ma è altrettanto vero che, nonostante le sanzioni, i risultati sono eterogenei.
Stando all’ultima edizione dell’Indice di uguaglianza professionale tra uomini e donne (noto anche come Indice Egapro o più semplicemente come Indice di Uguaglianza), una sorta di termometro per misurare le discriminazioni legate al genere, il 98% delle aziende monitorate e valutate presenta margini di miglioramento (soprattutto per quanto riguarda gli aumenti al rientro dal congedo di maternità e la presenza di donne nella top ten degli stipendi) e soltanto un quarto delle organizzazioni ha almeno quattro donne nella sua top ten degli stipendi.
Un quadro che la dice lunga su quanta strada sia ancora necessario percorrere per raggiungere il traguardo di un’autentica parità di genere tra uomini e donne.
La fotografia in cifre dell’EBA
Tornando all’analisi dell’EBA, essa è stata condotta su un campione di 662 istituti di credito e 129 società di investimento operanti nell’Unione europea. Da questa fotografia in cifre è emerso che appartengono al genere femminile il 27,75% degli amministratori non esecutivi, una percentuale che scende al 18,05% degli amministratori esecutivi.
All’interno di questa cerchia, su un totale di 689 amministratori delegati, lo spazio occupato dalle donne si restringe all’11%, pari a solo 78 “amministratrici delegate”.
Secondo i dati raccolti dall’EBA, c’è un maggior equilibrio di genere nel nord e nell’est Europa a differenza del sud Europa, dove sulla parità di genere le banche sono più indietro. Ma l’Authority ha rilevato che poco più di un quarto delle banche del Vecchio Continente, precisamente il 27,05%, “ancora non dispone di una diversity policy”, cioè di una policy per la rappresentanza di genere, la cui adozione è “obbligatoria”. E lo è al pari della considerazione del genere nella scelta dei consiglieri, dell’applicazione di politiche retributive non discriminatorie e del monitoraggio del “gap” retributivo tra generi.
Il gap degli stipendi tra uomini e donne
A proposito del divario retributivo tra generi differenti, con l’ago della bilancia che pende dalla parte maschile, l’Autorità bancaria europea nella sua indagine ha precisato che i consiglieri esecutivi donna guadagnano mediamente il 9,48% in meno dei loro pari grado uomini, una forbice che si riduce al 5,9% nel caso di consiglieri non esecutivi. E questo nonostante esista “una chiara correlazione positiva”, ha puntualizzato l’EBA, tra l’equilibrio dei generi e la capacità delle banche di remunerare il capitale.
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Le linee guida dell’EBA
Alla luce di questa fotografia, l’EBA ha aggiornato le sue Linee guida sull’esercizio di benchmarking sulle politiche di remunerazione ai sensi della Direttiva 2013/36/UE (CRD IV) sui requisiti patrimoniali così come modificata dalla Direttiva (UE) 2019/878 (CRD V) per tener conto del divario retributivo di genere.
La revisione è stata necessaria per prendere in considerazione ulteriori requisiti introdotti dalla direttiva (UE) 2019/878 (CRD V) in merito all’applicazione delle deroghe ai sensi dell’articolo 94, paragrafo 3, della direttiva 2013/36/UE e all’analisi comparativa del divario retributivo di genere.
Il principio della parità di retribuzione per pari lavoro sancito dall’articolo 157 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e le misure volte a garantire pari opportunità sono già stati inclusi negli orientamenti dell’EBA sulle sane politiche retributive.
“L’analisi comparativa del divario retributivo di genere consentirà alle autorità competenti di monitorare l’attuazione di tali misure e il loro sviluppo a diversi livelli retributivi e, in particolare, la rappresentanza del personale di genere diverso”, si legge nelle Linee guida.
L’obbligo di confrontare tali pratiche si applica a tutte le istituzioni. Pertanto, il campione di istituzioni utilizzato per l’esercizio di analisi comparativa del divario retributivo di genere include diversi tipi di istituzioni per consentire un’adeguata analisi comparativa non solo delle istituzioni più grandi, ma anche delle istituzioni più piccole.
Quando avverrà la raccolta dati
I dati di benchmarking saranno raccolti annualmente ai sensi delle Linee guida aggiornate e la prima raccolta di dati ai sensi delle nuove linee guida sarà condotta nel 2023 per l’esercizio finanziario 2022. Tale raccolta di informazioni viene gestita anche all’interno del nostro modulo segnalazioni armonizzate della piattaforma TigreArm.
I primi dati sul divario retributivo di genere saranno raccolti nel 2024 per l’esercizio finanziario 2023. L’EBA, infine, continuerà successivamente a raccogliere i dati su base regolare come stabilito negli orientamenti.
L’analisi della Banca d’Italia
La parità di genere può attendere anche in Italia. La Banca d’Italia ha riscontrato una serie di criticità in un’indagine tematica valutando i consigli d’amministrazione delle banche italiane meno significative (less significant). Dalla sede di via Nazionale, hanno verificato una “scarsa diversificazione” dei cda in termini di età, genere e durata dell’incarico. La ricerca ha evidenziato che i consiglieri rimangono in carica per tanti anni e che hanno un’età media che sale. E ancora: le donne presenti sono poche o zero, così come c’è una forte influenza di una sola figura come il presidente o il vertice esecutivo.
A questo riguardo la Banca d’Italia ha suggerito alcune buone prassi a cui attenersi, le quali non modificano o cancellano le attuali istruzioni di vigilanza. Accanto al fatto che nei cda manchino figure esperte in tecnologia e cybersecurity, la nota dolente rimane una presenza di donne che “nei cda continua a essere in media limitata, seppure in crescita, e in diversi casi manca del tutto; è particolarmente bassa nei ruoli di vertice (solo il 5% delle posizioni di presidente, amministratore delegato o direttore generale è ricoperto da donne)”.
Le raccomandazioni di via Nazionale
Ecco perché la Banca d’Italia ha ricordato che, secondo le ultime disposizioni l’adeguamento alla quota di genere, deve essere assicurato non oltre il primo rinnovo integrale dell’organo, effettuato dopo il gennaio 2022, e comunque entro il 30 giugno 2024.
Le banche di minori dimensioni e complessità operativa valutino inoltre l’opportunità di anticipare l’adeguamento alla soglia minima del 33%, prevista dalle disposizioni sul governo societario.
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